Noi abbiamo usato le matite! è l’ultimo libro dell’autore Roberto Paradiso, per chi ama la storia delle missioni spaziali sovietiche e russe.
Seguiteci qui di seguito in questo articolo per farvi conoscere meglio questo autore con la sua intervista e il suo libro.

Noi abbiamo usato le matite, di cosa parla?

“Noi abbiamo usato le matite!” è una frase che è stata attribuita al progettista capo del programma spaziale sovietico Sergei Pavlovic Korolev.
Ma non tutti sanno che questa è pura e semplice leggenda metropolitana, in realtà non ha mai detto questa frase.
Però questo è lo spirito che ha animato il programma spaziale dell’Unione Sovietica e della Russia.
Trovare soluzioni semplici a problemi complessi era il loro motto e l’autore Roberto Paradiso ce lo racconta in questo libro.
La prefazione di Noi abbiamo usato le matite! è stata lasciata nelle mani di due persone che conosco bene l’argomento.
Sono Letizia Davoli, astrofisica e giornalista televisiva e di Stefano Mossa, astrofilo, e blogger.

Il 20 luglio del 1969 l’astronauta Neil Amstrong scende dall’Apollo 11 e cammina per la prima volta sulla luna.
Questo è stato un evento importantissimo per la storia e per gli Americani è stat una vittoria spaziale contro i nemici sovietici.
Ma siamo sicuri che basta questo per essere i migliori in campo astronautico?
Ci sono tante storie che non sono arrivate come veri eventi ma che fanno capire quanto erano e sono capaci i progetti spaziale della Russia.
Un libro questo dell’autore Roberto Paradiso che racconta molte vicende che davvero non conoscevamo.
Interessanti vicende e personaggi che hanno fatto la storia, con documenti che attestano quanto letto, addirittura alcuni inediti.
Si capisce quanto l’autore sia appassionato di tutto ciò che concerne il campo aerospaziale, per questo si legge con curiosità ogni pagina di questo volume.
Se volete conoscere meglio il risvolto originale delle missioni spaziali sovietiche e russe e le persone che erano dietro le quinte.
Questo libro fa proprio per voi, e per tutti coloro si vogliono avvicinare alla storia spaziale.

Intervista all’autore Roberto Paradiso

Ringraziamo l’autore Roberto Paradiso per aver risposto alle nostre domande, siamo sempre curiosi di avere più informazioni delle persone che ci sono dietro ai loro libri.
Se volete leggere i racconti dell’autore potete visitare il suo sito web Le Storie di Kosmonautika.
Potete anche ascoltare l’autore ospite di Radio Nord Borealis in questo video.

Ciao Roberto, per prima cosa raccontaci di te e della tua voglia di scrivere

Mi chiamo Roberto Paradiso, di professione faccio il bancario, un passato da ufficiale dell’Esercito con
esperienza da pilota privato.
Ho cinquantasette anni ed ho una passione viscerale per i voli spaziali.
Sin da bambino mi è sempre piaciuto scrivere, ricordo dei temi che facevo a scuola e che, spesso, la
maestra leggeva in classe perché le erano piaciuti particolarmente.
Una volta provai anche a scrivere, su di un quaderno a righe, una specie di romanzo di fantascienza ispirato al film “Guerre Stellari” (all’epoca Star Wars era distribuito in Italia così, questo la dice lunga sulla mia età da Brontosauro…).
Ma è alla fine degli anni 90 che inizio a lavorare su qualcosa di più originale.
Dopo una lunghissima gestazione, termino una raccolta di racconti di fantascienza che poi ho pubblicato, in self publishing col titolo “Storie di anime e di mondi”.
Ovviamente si è trattato più di una soddisfazione personale che di volontà di diventare scrittore e
di emergere in tal senso.

Da dove nasce la tua passione per la storia delle missioni spaziali sovietiche e russe, che ha dato luce a Noi abbiamo usato le matite?

Diciamo che “nasco” con lo sbarco degli astronauti americani sulla Luna.
Avevo circa quattro anni ed è il mio primo ricordo nitido di vita.
Quella notte del luglio 1969 è rimasta impressa nella mia mente come un indelebile marchio a fuoco.
La recente scomparsa di Tito Stagno, che con Ruggero Orlando fu il protagonista di quella magica diretta, mi ha profondamente commosso: devo a lui ed al suo entusiasmo quell’imprinting che non mi ha mai più abbandonato.
E, quindi, gran parte della mia infanzia e della mia adolescenza fu contraddistinta col mito della NASA, guardando agli “altri” (i sovietici), con una punta di altezzosa superbia, sebbene fossero stati questi, invece, i primi in quasi tutto, tranne lo sbarco sul nostro satellite.

Proprio verso la fine delle mie scuole superiori, mi avvicino alla lingua russa.
Per gioco, anzi, per “sbeffeggiare” un mio compagno di classe, col quale siamo poi diventati cari amici, che, entusiasta di tutto ciò che era russo, si esaltava ogni volta che vedeva una scritta in cirillico.
E quindi mi sono divertito a traslitterare parole senza senso oppure con significato insulso, in cirillico solo per vederlo esultare come un bambino… Quando, poi, all’Università, ha imparato davvero la lingua russa, me l’ha fatta pagare…
Ma quello scherzo di ragazzo, mi ha avvicinato a qualcosa che per me diventava come una calamita che mi attirava misteriosamente a sé.
Difatti, pochi anni dopo, durante il mio servizio militare, ebbi modo di studiare gli aviogetti sovietici e rimasi folgorato dal modo semplice ma ingegnoso con cui venivano risolti problemi complessi.
Da lì a passare all’amore della mia vita, l’esplorazione spaziale, è stato solo un crescendo.
E qui ritorna in scena la lingua russa.
Bisogna dire che tutto il materiale che negli anni ci è arrivato sul programma spaziale sovietico è
pesantemente filtrato dalla propaganda americana.
Complice anche il pesante velo di segretezza che ha contraddistinto il modus operandi di oltrecortina, è stato facile alimentare leggende metropolitane come quelle dei cosmonauti perduti, o minimizzare gli innumerevoli successi e primati che l’Urss, prima, e la Russia, poi avevano acquisito.
Per andare ad attingere alle fonti, che via via venivano sollevate dal coperchio di decenni di segretezza più o meno assoluta, era necessario padroneggiare l’idioma di Pushkin e Tolstoj.
E quindi, armato di molta pazienza, mi sono cimentato da autodidatta, allo studio della lingua russa.
Non posso dire di padroneggiarla, anzi! Penso di avere la grazia di un Kazako imbizzarrito quelle poche volte che cerco di formulare una qualche frase che non sia una di quelle di circostanza.
Ma penso di aver acquisito un decente livello di comprensione del parlato e dello scritto.
E questo ha dato l’impulso al lavoro che ho poi fatto in questi ultimi due anni.
Proprio grazie alle nebbie linguistiche che si sono piano piano diradate, ho iniziato ad attingere alla grande messe di fonti che parlano dell’argomento Cosmonautica.
E mi si è letteralmente aperto un altro mondo.
Difatti ho scoperto quella che è la caratteristica che mi ha fatto amare sempre di più questo “lato” della
conquista dello spazio.
Ebbene sì: i russi sono un popolo passionale e fantasioso proprio come noi italiani.
Solo che non lo danno a vedere! A mano a mano che mi addentravo nella storia del loro programma
spaziale, venivo a conoscenza di aneddoti, vicende umane e curiosità, nonché tutta una serie di incredibili primati, che mi hanno spinto a creare prima il canale YouTube “Kosmonautika” dove, in dodici puntate, ho ricostruito tutta la storia del programma spaziale sovietico da Tziolkowskji ad oggi, poi il blog “Le storie di Kosmonautika” che, nato come approfondimento degli argomenti trattati nella serie, per così dire, storica, è diventato un qualcosa di autonomo andando ad esplorare le singole vicende umane ed i dettagli, talvolta drammatici, talvolta curiosi, altre volte esaltanti, di questa lunghissima storia di Cuore ed Acciaio.
Un esempio per tutti: Esiste un rituale ben preciso che ogni cosmonauta (ed astronauta) che parte da Baikonur deve sottoporsi: l’equipaggio principale non può, come il marito la sposa, vedere il lanciatore prima del lancio.
È l’equipaggio di riserva che lo accompagna, seguendone il percorso dall’hangar di assemblaggio alla rampa e lanciando monete sui binari affinché vengano schiacciate dallo speciale convoglio creando degli amuleti portafortuna.
Il lanciatore e l’equipaggio principale vengono, poi, “brutalmente” battezzati da un Pope ortodosso, quindi i cosmonauti si sottopongono al taglio dei capelli e, la sera prima, vedono tutti insieme una specie di film western sovietico: “Il bianco sole del deserto”. Ma la tradizione più iconica, che esiste dai tempi di Gagarin, è quella che, prima di arrivare alla rampa, il pulmino che porta l’equipaggio debba fermarsi per far fare… pipì all’equipaggio.
Come Gagarin, infatti, che pare abbia avuto una necessità impellente poco prima di
arrivare sotto la rampa, il bus si ferma, l’equipaggio scende e, a turno, fa pipì sulla ruota posteriore destra.
E le donne? Beh, nessuna si sottrae a questo rito, anche se ne sono esentate… Pare che le americane siano le più entusiaste raccogliendo la propria urina in una bottiglietta per poi lanciarla sulla ruota come i colleghi maschi.
Ma questa è solo una parte di una lunghissima teoria di riti propiziatori e piccoli gesti scaramantici
che derivano, e qui le nostre due culture si avvicinano in maniera impressionante, dalla comune
lunghissima storia contadina che contraddistingue il popolo russo e quello italiano.
Si sa, i riti della terra sono legati alle stagioni, a processi immutabili nei secoli che hanno, appunto, un rituale che si perde nella notte dei tempi.
L’URSS è diventato una società industriale solo nel XX secolo, come noi del resto.
È normale che certe tradizioni restano radicate.
E questa è proprio la grande differenza che c’è tra i russi e gli americani, popolo molto più “moderno”, poco legato alla terra, alla casa ed al “giardino di casa”.
Ho detto giardino di casa non a caso (mi si conceda il gioco di parole). Un’altra cosa affascinante è la tradizione “canora” legata al cosmo… Ci ho dedicato una puntata sul canale YouTube; un po’ come un improbabile “Festival di Baikonur” esiste una letteratura di canzoni legate allo spazio, alcune delle quali, come “trava udoma” (il prato di casa), fanno anche parte del “rituale” pre-lancio.
La canzone parla del senso di nostalgia che si prova guardando la terra dall’oblò (“земля в иллуминаторе”) e che fa dire, a chi canta, che non desideriamo il rombo del cosmodromo o questo cielo di metallo sopra di noi, ma quando guardiamo lo spazio, come ci manca l’abbraccio di una madre, sentiamo la mancanza del verde prato di casa.
E, guarda un po’, proprio il verde e l’azzurro sono i due colori usati dall’architetto Galina Balashova, che ha progettato gli interni delle Sojuz e delle stazioni spaziali, dalle Saljut alla Mir, per ridare ai cosmonauti la sensazione di “sopra” e “sotto” anche in assenza di peso.
L’architetto Balashova ha quindi pensato che vedere l’azzurro del cielo ed il verde del prato di casa avrebbero dato un senso all’equilibrio degli occupanti dei veicoli spaziali.
Anche se, in condizioni di caduta libera, sopra e sotto sono concetti privi di significato, sapere che
dove c’è il verde si possono poggiare i piedi, fa stare decisamente meglio.
Chiudendo gli occhi il cosmonauta, come il cantante della canzone di cui ho parlato prima, poteva sentirsi un po’ a casa.
Sono centinaia le storie che si intrecciano e si inseguono in questa lunga strada rossa verso le stelle. Storie conosciute perché rese famose dalle recenti produzioni russe come “Gagarin, primo nello spazio” oppure “Il tempo dei primi” fino a “Saljut-7, storia di un’impresa”, oppure storie che in Italia ignoriamo del tutto come l’incredibile avventura della Sojuz-23 i cui cosmonauti restarono dodici ore sott’acqua a testa in giù cadendo nel lago ghiacciato Tengiz, oppure il trasloco spaziale effettuato dai cosmonauti Solov’ev e Kizim nel 1986 trasportando attrezzature e macchinari dalla Saljut-7 alla Mir.
Drammi come quello di Valentin Bondarenko e di Vladimir Komarov e meravigliosi racconti di un’amicizia senza tempo come quella tra Alexei Leonov ed il suo omologo americano Thomas Stafford, i due comandanti della missione congiunta Apollo-Sojuz del 1975.
Tutte queste storie di Cuore ed Acciaio, le ho volute raccontare in un libro: “Noi abbiamo usato le matite”,
storia del programma spaziale sovietico e delle persone che lo hanno realizzato.
Il libro è l’ideale completamento di quella “traiettoria di avvicinamento” che, come vi ho raccontato, è iniziata tanto, tanto tempo fa.

Hai già in mente la storia per un nuovo libro? Ci puoi svelare a cosa stai lavorando?

Sì, è un progetto a cui lavoro a quattro mani con un amico con il quale ci siamo conosciuti grazie ad
Internet. Racconteremo, ma non svelerò i dettagli, una storia di amicizia tra Astronauti e Cosmonauti che,
proprio in questi tempi rattristati da una guerra che bussa alle porte di casa nostra, ci darà un motivo in più di sperare.
Perché, e per fortuna la collaborazione in corso sulla Stazione Spaziale Internazionale ce lo dimostra ogni giorno, la gente che ci rappresenta nello spazio è di gran lunga migliore di chi ci rappresenta sulla Terra.
Yuri Gagarin esclamò, guardando la Terra dal suo piccolo oblò: “Da quassù la terra è meravigliosa, senza
frontiere né confini!”; ed Alexei Leonov, primo uomo ad effettuare una passeggiata spaziale, gli fece eco,
qualche anno più tardi, dicendo: “Insieme, siamo migliori!”

Il libro Noi abbiamo usato le matite di Roberto Paradiso è pubblicato con Ilmiolibro, per la categoria storia e filosofia.

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